La lunga notte del dottor Galvan

Scritto il 22 ottobre 2010

La lunga notte del dottor Galvan” – di Daniel Pennac – è una notte che merita di essere raccontata.

Una domenica notte di luna piena, che il giovane dottor Gérard Galvan racconta vent’anni dopo ad un misterioso interlocutore. Nel suo monologo ripercorre gli eventi assurdi e folli che hanno cambiato per sempre la sua vita.

Allora era un giovane medico tirocinante in servizio al pronto soccorso della clinica universitaria Postel-Couperin. Tra un attacco epilettico, un’eruzione cutanea e un automobilista ridotto in polpette, Galvan sogna il suo biglietto da visita perfetto, quello che un giorno avrebbe potuto sguainare per “fare impallidire tutti gli amanti del genere“.

E così, tra un attacco d’asma e un delirium tremens, passano le ore, le urgenze vanno diminuendo, il pronto soccorso si va svuotando e il dottor Galvan finalmente sta per godersi la sua pausa caffè, quando improvvisamente vede un signore stramazzare a terra. L’aveva notato all’inizio del suo turno, quel signore. Stava seduto tranquillo in sala d’aspetto e quando gli aveva chiesto qual’era il suo problema, questi gli aveva risposto “non mi sento tanto bene“. E ora era caduto a terra, ferendosi la testa.

E da questo momento in poi, dal momento in cui il misterioso signore che non si sente tanto bene, viene issato su una barella del pronto soccorso, comincia un’incredibile sequenza di incidenti e malintesi, tra sintomi e malesseri di ogni tipo, che costringono il povero Galvan a correre da un reparto all’altro per consultare specialisti delle più svariate discipline che l’aiutino a non far morire il suo povero paziente. La prima diagnosi che viene formulata dal solerte internista è occlusione intestinale, ma improvvisamente ecco cosa succede:

“Vi fu un borbottio, il lenzuolo prese le dimensioni di una mongolfiera, quindi una deflagrazione scagliò Angelin due passi indietro. Dopodiché si udì la tromba. ‘Questa, mio caro Angelin, è una scoreggia!’ Il mio malato scoreggiava! Ecco cosa succedeva. Finalmente cacciava fuori l’aria, perdio! Tutta in una volta. La scoreggia del secolo! La tromba della carica. Un mese di uragano liberato! Sturato! Salvo! La tromba lasciò il posto alla trombetta, che si fece oboe, l’oboe si affinò in flauto, il flauto si assottigliò in piffero, il tutto in tante piacevoli circonvoluzioni consentite dai sei metri e cinquanta di intestino collegati a un grosso colon che si sfoga”.

Scongiurato così il timore di intervenire per l’occlusione, al paziente vengono via via diagnosticate patologie di ogni tipo, dal globo vescicale, allo pneumotorace, passando per l’epilessia e la tachicardia per finire con il coma. Il paziente continua a manifestare una serie variegata di sintomi che rendono impossibile la formulazione di una diagnosi precisa, al punto che tutti gli specialisti consultati decidono di ricoverare il paziente in una camera dell’ospedale, nell’attesa di sottoporlo ad esami più approfonditi.

E il povero Galvan decide di vegliarlo, perché durante quel peregrinare da un reparto all’altro nel tentativo di non far morire il pover’uomo, è giunto ad un’importante conclusione:

“pensavo solo questo: rimani vivo, rimani qui. Avevo reso le armi. Avevo strappato il mio biglietto da visita. In una notte ero diventato medico…. Un uomo dedito ai malati, per sempre, quali che fossero e senza condizioni, ecco cos’aveva fatto di me il mio paziente”.

Sopraffatto dalla stanchezza Gérard si addormenta, ma al suo risveglio, il mattino dopo, il paziente è sparito. Morto? Dimesso? Trasferito? Il finale è sorprendente, inaspettato, esilarante.

Daniel Pennac ha scritto un racconto divertente ma tagliente, una critica cinica e sferzante ad una classe di medici troppo presi dalla carriera, dai titoli e dalla ricerca di onore e gloria per provare rispetto e compassione per i propri pazienti che finiscono per essere trattati con distacco e altezzosità.

Ed è in questo turbinio di eventi che Galvan, giovane e alle prime armi ma già “corrotto”, per così dire, trova finalmente l’umanità e l’empatia per i propri pazienti e la passione per il proprio lavoro che va ben al di là di un biglietto da visita litografato o di un riconoscimento accademico.

Scopre di essere un vero medico proprio quando la sua carriera arriva ad una svolta. La paura di perdere un paziente gli fa scoprire il valore autentico della sua professione “Medico, ecco cos’ero. Il mio essere, sì, medico. Quel medico, in quella medicina, nient’altro. Medico fra i medici. (…) … era qualcosa che non avrebbe mai potuto comparire su un biglietto da visita“.

La struttura stilistica del racconto, che altro non è che un lungo monologo, ha fatto sì che ne venisse tratta un’opera teatrale, alla quale sono stati aggiunti altri brevi monologhi tratti da commedie di Molière che rendono la storia di Galvan ancora più farsesca e tragicomica (i brani vengono riportati in coda al libro). E’ un libro divertente si, ma capace di farci riflettere e anche indignare, perché purtroppo medici così li abbiamo incontrati tutti, prima o poi.

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La lunga notte del dottor Galvan


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