Né qui né altrove. Una notte a Bari

Scritto il 8 febbraio 2011

Bari, una sera di dicembre, una telefonata inaspettata ed un viaggio nel passato.

Questo è “Né qui né altrove” di Gianrico Carofiglio, storia di un incontro di tre amici (di tre che furono amici) che dopo aver frequentato insieme liceo ed università, si sono persi di vista per vent’anni: l’io narrante, che scopriamo essere uno scrittore, Giampiero, notaio, di padre notaio, benestante ed appagato e Paolo brillante docente universitario che vive negli Usa con la moglie americana e con i figli, americani pure loro, che non torna a Bari, sua città natale, da molti anni, e che dopo quella notte di dicembre, conta di non ritornarci mai più.

Giampiero allora decide di organizzare un’allegra rimpatriata tra l’imbarazzo e il disagio, evidente, palpabile e prevedibile degli altri due. E così, senza volerlo davvero, loro malgrado, i tre si ritrovano a consumare una ricca e favolosa cena e a girovagare in macchina per la città, ripercorrendo strade, piazze, locali, cinema chiusi da tempo, luoghi che hanno segnato la loro infanzia ed adolescenza.

E scopriamo a poco a poco che Bari negli anni si è trasformata al punto che Paolo quasi non la riconosce più e osserva con stupore e incredulità la gente che affolla le strade e le piazze:

“Paolo si guardava attorno con aria stupita. La sua faccia aveva perso quell’espressione di leggera impazienza che aveva tenuto sotto controllo per tutta la serata ma che di tanto in tanto, inevitabilmente, era affiorata. Adesso sembrava meno teso nel controllo, e incuriosito. La città in cui aveva abitato, tanti anni prima,a quell’ora di sera di un giorno nel mezzo della settimana era un posto deserto. Adesso invece la strada era piena di gente…”

E quella sera, pure il nostro scrittore, che al contrario non ha mai lasciato la città, comincia a vederla con occhi nuovi, come se per anni avesse dimenticato di guardarsi attorno, di notare i particolari dei viali, i nomi delle vie, la disposizione ordinata delle strade, le palme di Corso Vittorio Emanuele:

“Accorgendomi delle palme, quella sera mite di dicembre, ebbi la percezione improvvisa di quanto fossi stato per anni assente, inconsapevole. Gesti automatici, rituali meccanici, i giorni uno uguale all’altro, impossibili da ricordare, perché erano tutti un unico identico giorno, vissuto nel dormiveglia della coscienza.(…) Mi fece pensare, come non mi era mai successo, al modo in cui ricordavo i fatti del passato: vedendoli come un osservatore esterno, da una posizione diversa da quella della realtà. Spettatore di un me stesso estraneo e delle sue distratte esperienze.”

L’imbarazzo e la difficoltà di intavolare una conversazione rilassata fra i tre, lasciano a poco a poco spazio al riaffiorare dei loro ricordi di ragazzi. Così tra un’ubriacatura di Paolo e una rissa per strada con conseguente fuga in macchina, emergono le verità non dette, i segreti del passato e del presente, l’angoscia e la depressione di Paolo, la sofferenza di Giampiero che in fondo non è l’uomo felice e spensierato che gli altri credono.

Soprattutto emergono dal passato i ricordi teneri e a tratti divertenti del narratore, di quando da bambino giocava per strada col terrore di essere picchiato dai ragazzi del quartiere popolare e disagiato che confinava col suo, abitato da famiglie medio-borghesi e benestanti.

E poi ancora lui, bambino e già avido lettore e assiduo frequentatore di librerie; e le giornate passate al mare, sulla spiaggia pulita e recintata frequentata dalle famiglie bene della città; il suo cane, Randy, che gli fece compagnia per sedici anni e con il quale imparò ad esplorare e conoscere le strade e gli angoli più remoti di Bari e infine gli anni della sua adolescenza, con le prime agognate, sofferte esperienze amorose, quelle vissute davvero e quelle solo immaginate e ricordate ora con rimpianto.

“Nè qui nè altrove” è un romanzo di formazione, autobiografico sì, ma nemmeno tanto, dato che lo stesso autore precisa che solo un paio dei fatti raccontati corrispondono alla sua vita cosiddetta reale, mentre il resto è frutto di invenzione, per quanto ispirato al suo vissuto.

E’ indiscutibilmente un romanzo drammatico che parla della difficoltà di diventare adulti, delle illusioni infrante e delle ambizioni perdute, del tempo che scorre inesorabile e del rimpianto per un passato che non tornerà più e che ha ormai lasciato il posto ad un presente carico di delusioni, disillusioni, responsabilità.

Ma, e qui Carofiglio dimostra la sua enorme bravura, nonostante la malinconia pervada l’intera narrazione, il tono spesso muta improvvisamente, regalandoci sprazzi di umorismo e racconti esilaranti, che vi faranno ridere davvero, davvero di gusto.

Il risultato è un libro veramente bello, che si fa leggere tutto d’un fiato, che si abbandona a fatica e nel quale si finisce inevitabilmente per ritrovare qualcosa del proprio vissuto, alcune sensazioni e pensieri che prima o poi ci hanno occupato la mente (e tranquilli: se non vi succede, vuol dire che avete ancora vent’anni e il pensiero di come e dove sarete voi e i vostri amici quando di anni ne avrete quaranta e più, per il momento, non vi sfiora nemmeno…).

Incipit

La musica arriva da una remota Bluegrass Radio, e Willie Nelson cantava You were always on my mind, quando squillò in telefono.
“Chi sono ?”
Inequivocabilmente un seccatore, pensai senza riconoscere la voce.
“Non lo so, forse vuoi dirmelo tu?”
“Ehi, come sei serio. Essere troppo seri rallenta i riflessi, lo sai?”
Giampiero.
Giampiero Lanave.
E che ci faceva Giampiero Lanave nel mio telefono quella sera di dicembre del 2007? L’ultima volta che avevo ricevuto una sua telefonata era stato più di vent’anni prima. Parecchio più di vent’anni prima. Ero in un’altra casa e noi tutti eravamo in un altro mondo.

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Né qui né altrove

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