I pilastri della Terra

Scritto il 29 ottobre 2010

Ken Follett non è uno dei miei scrittori preferiti.  Ho provato in passato a leggere un paio dei suoi famosi thrillers, senza riuscire mai ad appassionarmi più di tanto, quindi devo ammettere che ho opposto un po’ di resistenza quando mi è stato consigliato di leggere I Pilastri della Terra (The Pillars of the Earth). Comunque, siccome credo che si debba essere sempre aperti a nuove esperienze di lettura (nel limite del possibile, sia chiaro), alla fine ho ceduto.

So che arrivo un po’ in ritardo. Il romanzo è del 1989 e sembra che abbia venduto negli anni più di 14 milioni di copie, che è una cifra enorme. Quindi mi perdonino i fans di Follett e ancor di più gli adoratori de I Pilastri, che so essere numerosissimi in tutto il mondo. A mia discolpa devo dire che questa lettura non poteva arrivare in un momento migliore, dato che nei mesi scorsi (e finalmente ora anche in Italia), è andata in onda la miniserie televisiva tratta dal romanzo, che ha avuto, nei Paesi dove è stata trasmessa, un successo enorme.

E non mi riesce difficile crederlo perché il romanzo è davvero bello: è scritto benissimo, in modo scorrevole e semplice; è avvincente, perché gli eventi si succedono l’uno dopo l’altro lasciandoti con il fiato sospeso, e costringendoti a procedere pagina dopo pagina spinto dalla curiosità; è attendibile dal punto di vista storico, dimostrando che Follett ha fatto un ottimo lavoro di ricerca e questo non guasta mai. Insomma è un librone di 8oo pagine e più che non stanca mai, o quasi.

Dunque la trama è questa, a grandi linee: siamo nel 1200, la storia inizia in un villaggio inglese con il racconto di un’impiccagione di cui si sa poco o nulla per la verità perché molti particolari vengono svelati in seguito. L’impiccato è un giovane straniero dai capelli rossi, e a piangere per lui c’è solo una bella ragazza dagli occhi inquietanti che maledice i responsabili della morte del suo amato, padre del bimbo che porta in grembo.

La storia poi riprende undici anni dopo. Tom detto il costruttore è un bravo muratore che si ritrova improvvisamente disoccupato. La casa che stava costruendo per Sir William Hamleigh non sarà più completata perché il suddetto Sir è appena stato rifiutato dalla sua promessa sposa, la giovane e bellissima Aliena, figlia del conte Bartholomew di Shiring. Accecato dall’ira William ordina a Tom e ai suoi uomini di interrompere i lavori lasciandoli nella disperazione.

L’inverno è alle porte e Tom deve sbrigarsi a trovare un altro lavoro. Si incammina quindi con la sua famiglia, il figlio Alfred, adolescente aggressivo e manesco, la piccola Martha e la moglie Agnes, incinta del loro terzogenito. Il viaggio riserva loro solo una lunga serie di sventure, che culminano con la nascita del bimbo nel bel mezzo di una foresta e la morte della povera Agnes.

Tom abbandona il bimbo a sé stesso non potendo nutrirlo, ma fortunatamente viene salvato da Francis, un prete che lo lascia alle cure del fratello Philip priore di un piccolo monastero benedettino. Nel frattempo Tom e i figli incontrano Ellen, una strana e bella donna che vive nella foresta con il figlio Jack. Tutti insieme si mettono alla ricerca di un nuovo lavoro per Tom e alla fine arrivano a Kingsbridge, un priorato decadente e indebitato di cui è nuovo priore proprio quel Philip che aveva accolto il figlio abbandonato da Tom.

Tom riesce ad ottenere da Philip l’incarico di costruire la nuova cattedrale del priorato e in questo modo può assicurare benessere alla propria famiglia e realizzare il sogno della sua vita, costruire una maestosa ed innovativa chiesa nel nuovo stile che si andava affermando in quegli anni.

Alle vicende di Tom il Costruttore, e del priore Philip si aggiungono poi quelle di Aliena e del fratello Richard, il cui padre conte Bartholomew è stato imprigionato con l’accusa di tradimento alla Corona e il cui castello e le relative proprietà vengono assegnate da re Stefano alla famiglia Hamleigh. William si vendica così dell’umiliazione che gli era stata inflitta da Aliena che non aveva voluto sposarlo.

Alla fine tutti confluiscono, per diversi motivi, nel villaggio di Kingsbridge, che conosce un periodo di fortuna e ricchezza grazie alla oculata amministrazione del priore Philip, che attira le invidie di William e del suo alleato, vescovo Waleran Bigod, che non sopporta di essere messo in ombra da Philip, che pur essendo meno influente e potente di lui riesce ad ottenere successi enormi ed insperati.

Kingsbridge e i suoi abitanti devono subire vessazioni ed attacchi di ogni tipo da parte dei due perfidi alleati, in un periodo in cui il caos era totale e la giustizia veniva amministrata secondo gli interessi personali dei potenti. Siamo infatti in un periodo particolarmente doloroso della storia inglese, un periodo in cui a seguito della morte di re Enrico I manca il legittimo erede morto nel naufragio della White Ship.

La lotta per il trono tra il re Stefano e l’imperatrice Matilde, dà inizio ad una lunga e sanguinosa guerra civile che termina finalmente molti anni dopo con un accordo che prevede che alla morte di Stefano il nuovo re sarà Enrico, figlio di Matilde. Il romanzo si chiude con l’assassinio di Thomas Beckett nella cattedrale di Canterbury, seguito finalmente da un periodo di pace per il regno, e con la realizzazione della famosa cattedrale di Kingsbridge, così come l’aveva immaginata il buon Tom.

Come ho già detto il romanzo è ben scritto ed avvincente. Difficile trovargli dei difetti, anche se un paio di cose mi hanno un po’ disturbato nella lettura. La prima: chiaramente il tema principale del libro e suo filo conduttore è proprio la costruzione di questa cattedrale. Solo che in alcuni punti le descrizioni tecniche e progettuali sono così particolareggiate e puntuali da risultare noiose, anche perché a meno che uno non abbia una conoscenza specifica dell’argomento, si finisce per perdersi un po’ tra transetti, contrafforti e planimetrie varie.

Seconda cosa: i personaggi principali si innamorano e si sposano e si accoppiano com’è naturale  che sia, però Follett  a volte si lascia prendere la mano e il romanzo finisce per prendere delle tinte “rosa” che poco si addicono al resto della storia; insomma abbiamo capito che i personaggi sono appassionati e focosi, ma poteva anche calcare meno la mano su certi particolari (e questo dimostra quanto è scaltro il nostro autore: bravo bravo, non c’è che dire!).

Prologo

I bambini vennero presto per assistere all’impiccagione.
Era ancora buio quando i primi tre o quattro uscirono furtivamente dai casolari, silenziosi come gatti nei loro stivali di feltro.
Uno strato di neve fresca copriva il paese come una nuova mano di colore e le loro orme furono le prime a intaccarne la superficie immacolata. Passarono tra le casupole di legno camminando sul fango ghiacciato delle viuzze e raggiunsero la piazza del mercato dove attendeva la forca.

I bambini disprezzavano tutto ciò che gli adulti tenevano in considerazione. Spregiavano la bellezza e schernivano la bontà. Ridevano fragorosamente alla vista di uno storpio e se vedevano un animale sofferente lo uccidevano a sassate. Si vantavano delle loro ferite e ostentavano le cicatrici con orgoglio, e riservavano il massimo rispetto alle mutilazioni: un ragazzetto privo di un dito poteva essere il loro re. Amavano la violenza; erano capaci di percorrere miglia e miglia per vedere il sangue, e non mancavano mai a un’impiccagione.

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